Le tue vacanze sono ormai trascorse, andate. Sono passate in fretta, è già tempo di fare la valigia e non ti spieghi perché come al solito al ritorno è sempre più pesante dell’andata. Saranno i ricordi, le provviste, le raccomandazioni della nonna che pesano, pesano eccome.
Il viaggio poi, beh, quello è interminabile. Noti che all’andata sul treno c’era un clima diverso, ogni frase ascoltata, ogni telefonata, aveva la giusta dose di euforia. Al ritorno regna il silenzio o la musica nelle cuffie del vicino sparata a mille per non ascoltare i pensieri mentre gli sguardi sono rivolti verso i finestrini, subito dopo gli arrivederci trattenuti da quei sorrisi di plastica lasciati in stazione. Lungo l’adriatico, poi, la situazione si complica e pure parecchio: litorali ormai tristi, la schiuma delle onde che sembra deriderti, l’orizzonte che chiede di te, della tua essenza, delle tue origini. Ti risovviene il profumo dei dolci natalizi della mamma, il piacere di aver rivisto un amico d’infanzia, la forza di tua nonna… Cosa sarebbe stato di te se non fossi mai partito? ti chiedi se ha avuto senso lasciare tutto per una nuova terra dove avrai sempre il domicilio e mai la residenza.
Ma poi pensi che forse è giusto così, hanno ragione tutti: hai ragione tu, ha ragione la nostalgia e hanno ragione quelli che ti ammirano per ciò che sei, per dove sei arrivato che ti ripetono che-qui-non-c’è-niente-e-hai-fatto-bene-a-partire-dove-sei-partito! Sarà destino e per noi del sud non ha avuto molta fantasia: emigrare!
Quando sei all’estero e ti chiedono da dove vieni, che soddisfazione scandire bene “San Marco In Lamis” anche se sai che non è né Roma, né Firenze, né Venezia, ti divertirai a insegnarglielo come fosse uno scioglilingua.
Se sei al nord dici Puglia, e tu stesso metti subito in chiaro che sei “terrone” perché tu ne vai orgoglioso e di lì a poco ti capiranno.
Di viaggi ne hai fatti sicuramente tanti (sì cossalògna!), ma di sicuro le tue uniche descrizioni dettagliate le farai sempre relative a Sante Marche: e le fracchie, e il pane e pomodoro, e il mare, e la salicornia, e i soprannomi bizzarri, e la saggezza di tua nonna, l’affascine, uff..non si finisce mai!
Ti fai spedire ilpaccodaggiù ma non è tutto per te. Dopo le premesse fatte, non ti resta che condividere il sapore della tua terra con i tuoi amici, parenti, vicini di casa. “Noi di giù siamo così”, gli dirai. Arriva l’estate e ti sorprenderai quando i tuoi amici faranno il biglietto per “scendere” a casa tua prima di te e ogni estate la tua casa sarà un albergo.
La valigia dell’emigrante è il frutto di questi sentimenti, di tanti viaggi in compagnia di mille interrogativi e mille consapevolezze, come quella di chi capisce che non è facile trovare risposte alle domande, né tantomeno saper coniugare bene il verbo “emigrare” al passato. La valigia dell’emigrante appartiene a chi lascia il paese e riparte con una valigia carica dove il peso maggiore, difficile da sorreggere, non sono né i sottoli, né l’olio, né il caciocavallo o le salsicce che contiene, ma è semplicemente quella sensazione di malinconia, quel nodo alla gola che ti soffoca dentro e fuori mentre provi a consolarti dicendo che è un arrivederci e le prossime festività non tarderanno ad arrivare.
Carmela Lombardi
Seguite i nostri canali social Facebook e Instagram, per essere sempre aggiornati sulle novità in arrivo e condividete le vostre foto utilizzando l’hashtag: #gustaladifferenza